Cambio di regia sulla flessibilità del congedo di maternità. D’ora in avanti è il datore di lavoro, e non più l’Inps, che decide se la lavoratrice può continuare a lavorare nei due mesi precedenti alla data presunta del parto.
La novità arriva dalla circolare 106/2022 in cui l’Inps, recependo una sentenza della Cassazione, stabilisce che la certificazione sanitaria necessaria per ottenere la flessibilità non deve essere più presentata all’istituto di previdenza, ma soltanto al datore di lavoro.
Questi, di conseguenza, deve verificare se la lavoratrice può legittimamente continuare a lavorare nel periodo di astensione obbligatoria (cosa finora fatta dall’Inps), mentre l’Inps si deve limitare a riconoscere l’indennità (i controlli può farli successivamente).
La flessibilità del congedo di maternità
L’istituto della «flessibilità del congedo di maternità» consente alle lavoratrici di suddividere la fruizione del congedo di maternità (ex astensione obbligatoria pari a cinque mesi) tra prima e dopo la data presunta del parto in una maniera diversa da quella ordinaria, cioè per legge, che prevede due mesi prima e tre mesi dopo il parto.
Con la flessibilità, quindi, una lavoratrice può decidere di restare al lavoro alcuni giorni o anche tutto il periodo di congedo prima del parto (due mesi) spostando il relativo periodo a dopo il parto. L’opzione per la flessibilità è possibile a condizione che la lavoratrice si munisca di certificazione medica, redatta durante il settimo mese di gravidanza da un medico del SSN o convenzionato, attestante l’assenza di pregiudizi alla salute per la lavoratrice stessa e per il nascituro.
La regia all’Inps. Finora è stato l’Inps a fare da regia sulle domande di flessibilità. Infatti, in base alle indicazioni del ministero del lavoro (circolare 43/2000), la lavoratrice presentava domanda di flessibilità sia al datore di lavoro che all’Inps, con allegato una certificazione medica. Poi l’Inps verificava la certificazione e, qualora risultasse non redatta nel settimo mese di gravidanza, rigettava la domanda e vietava alla lavoratrice di continuare a lavorare; al contempo calcolava il congedo di maternità con la modalità «ordinaria» (due mesi prima e tre dopo il parto).
La Cassazione sul congedo di maternità
Questa disciplina è stata oggetto di una sentenza della Corte di cassazione (n. 10180/2013) la quale, tra l’altro, stabilisce che la verifica della certificazione sanitaria non deve incidere sugli aspetti indennitari della maternità, di competenza Inps, ma solo sulle eventuali responsabilità del datore di lavoro. La sentenza ha portato all’aumento dei ricorsi all’Inps, tanto da spingere a cambiare indirizzo. Anche perché la normativa (l’art. 20 del dlgs 151/2001), chiosa l’Inps, in effetti non prevede un esplicito obbligo di produrre la certificazione all’ente di previdenza.
Le nuove istruzioni sulla maternità
In base al nuovo indirizzo, la certificazione medica non deve essere più allegata alla domanda di flessibilità presentata all’Inps, ma solo al datore di lavoro. In ogni caso, l’eventuale domanda presentata senza certificazione o con certificazione non conferme (redatta fuori dal settimo mese di gravidanza) non avrà più conseguenze negative (cioè il rigetto della domanda, come è stato finora).
Su parere del ministero del lavoro, questo nuovo orientamento vale: per il futuro; per le domande già presentate e in fase d’istruttoria; su richiesta della lavoratrice interessata, in via di autotutela, salvo intervenuta prescrizione, sulle domande definite in modo difforme; sui ricorsi pendenti in autotutela (per cessazione della materia del contendere).